Il corpo talmente smagrito da ricordare quelli dei reduci dai campi nazisti. Gli occhi, tenuti sadicamente per cinque anni senza occhiali, smarriti. Le labbra leggermente tremanti. Le gambe malferme. E soprattutto il braccio: quel braccio scheletrito che pende quasi inerte, quel braccio totalmente privo di forza e che tuttavia, con uno sforzo sovrumano, si solleva nel saluto militare per dire, con fierezza, con orgoglio, con sconfinata dignità: IO SONO UN SOLDATO DI ISRAELE.
(La stessa fierezza, lo stesso orgoglio, la stessa sconfinata dignirà che con sforzo sovrumano avevano mostrato loro) barbara