Diario
7 febbraio 2008
LA CASTA
Giorgio Napolitano non ha mai messo i cappellini della regina Elisabetta. Dio lo benedica. Non ha un marito gaffeur come il principe Filippo che a una donna cieca col cane guida che vedeva per lei disse: «Lo sa cara che ci sono cani che mangiano per le anoressiche?», E Dio lo benedica. Preferisce i babà del caffè Gambrinus alle cakes di patate, frutta secca e pancetta affumicata. E Dio lo benedica. Sulla trasparenza, però, Dio salvi la regina. La quale ha messo on-line tutti i suoi conti: tutti. Precisando quanto spende per questo e quanto spende per quello fin nei dettagli. Fino all'ultimo centesimo. Da noi no: segreto. Il bilancio del Quirinale è vietato ai cittadini. Avevamo chiesto, seguendo l'iter che ci era stato suggerito, poche, banali, innocenti informazioni. Chi ha diritto all'appartamento di servizio? Quante sono le autoblu? Quanto costano i viaggi in Italia e le missioni all'estero? Come funziona il trattamento pensionistico? Quali sono le spese per il mantenimento del Palazzo? Cose così... Niente da fare. O meglio, alcuni dati generici il Colle li ha dati. Per la prima volta, come se volesse farsi britannicamente carico dei nomignoli di «Sir George» e di «Lord Carrington» che si trascina da una vita, il presidente ha deciso, nel gennaio del 2007, di render note le «fondamentali scelte contenute nel bilancio interno». Dando anche qualche dettaglio, come il numero dei corazzieri, salito dai tradizionali 274 a 297. Evviva! Ed evviva l'impegno, preso solennemente, di ridurre i costi della macchina «al fine di contribuire ancor più incisivamente al generale risanamento dei conti pubblici e di contenere la dinamica della spesa». Di più: evviva perfino per il ritocco (un milione di euro in meno) rispetto alle previsioni contenute nel bilancio pluriennale 2006-2008. Un taglio simbolico ma vabbè, chi si contenta gode. La fitta coltre di nebbia sui costi della presidenza, però, è stata appena scalfita. Certo, «Sir George» ha annunciato la nascita di due «apposite commissioni di studio» e rivendicato la decisione di «autorizzare forme di pubblicità delle scelte fondamentali contenute nel bilancio interno». Ma solo sulle voci «compatibili con la riservatezza che caratterizza, in base alla prassi costantemente seguita dal 1948 a oggi, una documentazione contabile sottratta a controlli esterni, in forza dell'autonomia organizzativa riconosciuta all'organo costituzionale della presidenza della Repubblica dalla Costituzione e dalla legge 9 agosto 1948, n. 1077, istitutiva del segretariato generale, come affermato dalla Corte costituzionale e dalla dottrina». Insomma: chi si aspetta la trasparenza vera può aspettare. E per un pezzo. Per carità, Napolitano non è il primo a fare questa scelta. Anzi, ci tiene a dire che lui vorrebbe aprire di più ma sarebbe indelicato verso i predecessori diffondere dati che per il 2006 lo riguardano solo in parte e che in passato erano stati blindati. Sempre. Anche sotto la presidenza di un vecchio partigiano estroso come Sandro Pertini, di una specie di bombarolo istituzionale quale fu Francesco Cossiga, di un gentiluomo con la fissa delle regole come Oscar Luigi Scalfaro o di un fedelissimo servitore dello Stato quale Carlo Azeglio Ciampi. Sempre. Questione di cultura. Secolare. Di là, in Inghilterra, re Giorgio III decise che i proventi dei beni ereditari della monarchia venissero ceduti al Tesoro in cambio di un appannaggio annuale detto della «Civil List», addirittura nel 1760: trent'anni prima della Rivoluzione francese. Di qua il palazzo voluto nel 1580 da papa Gregorio XIII (l'esaltatore dello spaventoso Massacro del giorno di San Bartolomeo) è sempre stato abitato da inquilini riottosi all'idea di rendere conto a qualcuno: prima una trentina di papi, poi quattro re d'Italia, compreso l'ultimo, Umberto di Savoia. Il quale dopo il referendum su monarchia e repubblica, racconta Ceccarelli ne Lo stomaco della Repubblica, abbandona l'ex reggia con le dispense così «desolatamente vuote» che «per pagare i debiti occorre impegnare l'intero raccolto di pinoli della tenuta di San Rossore». Prima di sbaraccare, la corte savoiarda lascia «ai nuovi inquilini del Palazzo solo un pacchetto: "È un'ottima miscela di caffè Moka-San Domingo, che fu acquistato alla borsa nera esclusivamente per Sua Maestà. Ecco, Vostra Eccellenza può consumarlo, se crede, alla salute del sovrano"». [...] Ma per capire occorre davvero partire dal confronto con la monarchia. Si potrebbe maramaldeggiare ricordando la proverbiale sobrietà dei «monarchi in bicicletta» del Nord Europa o l'austerità di un re Baldovino che in tutta la sua vita non diede mai un ballo e visse e lavorò, come oggi il fratello Alberto, in palazzi di proprietà dello Stato belga. Troppo facile. Meglio il confronto con una monarchia spesso messa in croce dai media locali con l'accusa di essere spendacciona: quella inglese. Dicono i bilanci ufficiali che il Crown Estate, cioè il complesso dei beni immobiliari che appartengono alla Corona britannica ma sono gestiti dallo Stato, rendono immensamente più di quanto lo Stato versi alla casa regnante per svolgere la sua attività istituzionale. I contribuenti, insomma, ci guadagnano: nel 2006 hanno incassato dal Crown Estate 290 milioni di euro e ne hanno dati alla regina meno di 57. Ripartiti in tre pacchetti. La Civil List, che viene fissata ogni dieci anni e va a coprire gran parte delle spese, dallo staff alla rappresentanza; il contributo statale («Grant in aid for the maintenance...») per il mantenimento delle residenze reali, e il fondo per i viaggi di Stato. Tutto pubblico, su internet: www.royal.gov.uk/output/page3954.asp . Con 33 pagine ricche di dettagli sulle tabelle entrate-uscite dedicate alla prima voce, 54 alle residenze, 33 ai viaggi. Sei un cittadino? Hai diritto di sapere che i dipendenti a tempo indeterminato a carico della Civil List alla fine del 2005 erano 310, cioè 3 in più rispetto all'anno prima. Che la regina ha avuto regali ufficiali per 152.000 euro. Che nelle cantine reali sono stoccati vini e liquori «in ordine di annata», per un valore stimato in 608.000 euro. Che le uniformi del personale sono costate 152.000 euro e «catering e ospitalità» 1.520.000. Che sul volo di Stato numero tale, il giorno tale, in viaggio da qui a lì c'erano i passeggeri Tizio, Caio e Sempronio. La convinzione democratica che chi sta ai vertici del potere abbia il dovere (non la facoltà: il dovere) di rendere conto del pubblico denaro è talmente radicata che una tabellina indica, con nome e cognome, lo stipendio dei massimi dirigenti. Sappiamo quindi che la busta paga di Lord Chamberlain (Richard Luce fino all'11 ottobre del 2006, poi William Peci) è stata di 97.000 euro, quella del segretario particolare della regina Robin Janvrin di 253.000, quella del responsabile del Portafoglio privato Alain Reid di 276.000, quella del Maestro di Casa David Walker 191.000 euro. E da noi? Boh... Fu solo grazie a un'interrogazione parlamentare di Filippo Mancuso, l'ex ministro della Giustizia ricco di entrature nei gangli più impenetrabili della macchina statale, che nel 1995 finì nel mirino lo stipendio di Gaetano Gifuni. Il mitico «Parolina» (chiamato così perché era talmente riservato da apparire muto e parlava solo chinandosi nei momenti delicati alla basettona asburgica di Oscar Luigi Scalfaro per sussurrargli all'orecchio: «Preside', se permettete 'na parolina...») cumulava allora due introiti favolosi. Lo stipendio di segretario generale del Colle e la pensione di ex segretario generale del Senato. Totale: 45 milioni di lire al mese. Netti. Per 15 mensilità. Lui smentì. Tre giorni dopo saltò fuori la dichiarazione dei redditi del 1993, primo anno in cui aveva cumulato le due entrate. Il reddito era inferiore a quello denunciato da Mancuso ma niente male: 799.483.000 lire. In valuta attuale, 557.000 euro. Molti di più di quelli che prendeva il capo dello Stato. [...] Certo è che i costi, stando all'unica fonte a disposizione (la comunicazione annuale con cui il Quirinale informa il governo di aver bisogno di «tot soldi» senza spiegare nulla su come vengano spesi) hanno continuato inesorabilmente a lievitare senza che mai sia stato segnalato un taglio e senza che mai sia stata fornita una risposta alle richieste di aggiornamento dei dati conosciuti e mai smentiti. Ci sono ancora 71 alloggi a disposizione dei massimi dirigenti e dei collaboratori più stretti? I cavalli della ex Guardia del re sono ancora 60? Di quanto sono cresciuti i pensionati che nel 1998, ai tempi di una spietata radiografia di Stefano Romita sul «Mondo», erano già 896? Chi viene assunto è benedetto anche oggi dal dono di 4 anni d'anzianità convenzionale per andarsene poi a fine carriera (molto prima di tutti gli altri dipendenti pubblici) col 100% dell'ultimo stipendio, come segnalava nel 2000 (5 anni dopo la riforma Dini) un'inchiesta dell'«Espresso»? Ci sono ancora 2 ausiliari che come unico lavoro controllano gli orologi a pendolo? Segreto. Mentre dall'altra parte, in Inghilterra, la regina ha deciso di fornire ai cittadini non solo tutti i particolari del bilancio ma di far certificare questo bilancio dalla Kpmg. Ve l'immaginate il Quirinale che si abbassa (che umiliazione! che umiliazione!) al pari di una qualsiasi monarchia inglese ad affidare i conti a una società di revisori? L'idea di trasparenza è tale, lassù, che tra i resoconti c'è un capitoletto: «Politiche per il personale». Vi si spiega che «la Casa reale è impegnata a rispettare le pari opportunità e tutte le nomine e le promozioni sono effettuate seguendo il criterio del merito». Si aggiunge che le selezioni del personale avvengono con pubblico reclutamento e «avvisi pubblicati sui giornali nazionali e specialistici e su internet». E si precisa che «tutto il personale è sottoposto annualmente a una valutazione delle performance anche per identificare le opportunità di carriera individuali e le necessità formative». Un riesame l'anno. Senza che i sindacati strillino contro la ferocia padronale della regina. Altra cultura. Un giorno di qualche anno fa, per dire, il governo inglese si accorse che la Civil List aveva calcolato un'inflazione (7,5%) più alta di quella poi effettivamente registrata, col risultato che la famiglia reale aveva ricevuto 45 milioni di euro in più. Bene: Tony Blair e il cancelliere dello Scacchiere Gordon Brown, come riportarono tutti i giornali, decisero il congelamento dell'appannaggio per andare al recupero dei soldi. Invitata a «dimagrire», Elisabetta II ha preso l'impegno molto sul serio. Taglia di qua e taglia di là, per fare un solo esempio, a Buckingham Palace ci sono oggi 6 centralinisti a tempo pieno. La metà dei soli centralinisti del Comune di Catania processati anni fa dalla Corte dei Conti perché si spacciavano per ciechi. La metà dei centralinisti assunti dalla Asl di Frosinone nella sola tornata del dicembre del 2002. Un quinto dei centralinisti non vedenti richiesti con un concorso bandito nel 2004, dice un documento parlamentare, dalla sola Università di Palermo.
Denuncia molte cose, Gian Antonio Stella: nei suoi libri, nei suoi articoli, e a volte, leggendolo, mi prende una forte inquietudine, pensando a quanta gente può dare fastidio. Certamente lo sa anche lui, e tuttavia prosegue per la sua strada, come è giusto che sia per un Uomo degno di questo nome. Una cosa è certa: anche chi di noi è uso a informarsi non può non rimanere sconvolto nel toccare con mano l’ampiezza del fenomeno della corruzione, delle ruberie, degli imbrogli, della sporcizia morale di coloro che ci governano. È una lettura da crampi allo stomaco, ma toccherà affrontarla, visto che siamo ormai sotto elezioni.
Sergio Rizzo – Gian Antonio Stella, La casta, Rizzoli

barbara
|