fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza |
Diario
17 ottobre 2009
PROFONDO COME IL MARE
Dovremmo semplicemente scendere in campo, ecco tutto. Ma cazzo, pensò Reese, io debbo farlo. Una volta debbo farlo. Adesso.
(E ora un bel romanzone a tinte forti ci sta proprio bene: non ci si può mica intrattenere sempre e solo sui massimi sistemi, no?)
Un’occasione di festa, un atrio affollato, un attimo di disattenzione, e un bambino di tre anni scompare. E le vite di tutti ne vengono sconvolte, ma non tutte allo stesso modo, perché ognuno, di fronte alla tragedia, di fronte al passare dei giorni e dei mesi e degli anni senza che del bambino emerga alcuna traccia, mentre i mass media ci marciano e sciacalli e mitomani si scatenano, reagisce a modo suo, come può e come sa, come il proprio carattere e il proprio vissuto, la propria sensibilità e la propria capacità di resistenza, i propri punti di forza e le proprie debolezze, i propri occulti o palesi sensi di colpa gli suggeriscono o gli impongono. Che cosa succede in questa storia? Come va a finire? No, non ve lo dico: se lo volete sapere andate a leggerlo. Aggiungo solo una considerazione, che potrebbe rappresentare una buona morale della favola, riassunta nella citazione che ho posto all’inizio: non si dovrebbe lasciare che le cose succedano, non si dovrebbe stare a guardare la vita che ci scorre davanti. Si dovrebbe avere il coraggio di prendere in mano le situazioni e scendere in campo. E che non lo facciano gli altri, non può e non deve essere un alibi: IO DEBBO FARLO, cazzo, qui e ora: non c’è altra soluzione, non c’è altro modo per venirne fuori. (Ah, dimenticavo: una magnifica scrittura, quasi mezzo migliaio di pagine che si divorano in un boccone solo) (Poi il giorno dopo stai leggendo il libro successivo e ad un certo punto ti fermi, rievochi l’ultima scena di questo, ridacchi fra te e te e pensi: “Eh già …”. Poi provi a immaginare quello che succederà la mattina dopo, e ridacchi un altro po’. Eh già …)
Jacquelyn Mitchard, Profondo come il mare, Sperling&Kupfer

barbara
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”Tu dichiari, amico mio, di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente ‘antisionista’. E io dico: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei. E che cos’è l’antisionismo? È negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell’Africa e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. È una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio. In poche parole, è antisemitismo… Lascia che le mie parole echeggino nel profondo della tua anima: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei, puoi starne certo.” M.L. King


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